Chi ha paura di suonare in pubblico?

Wendy e Jack

Wendy tesoro, tra 5 minuti si va in scena…

Non so a voi ma a me suonare in pubblico ha sempre fatto paura e devo ammettere che qualche volta anche suonare quando sono da sola mi mette in uno stato di profonda agitazione.
Ma perché suonare che è una cosa tanto bella fa paura?
Eppure il coraggio in genere a noi musicisti non manca, anzi lo mettiamo in moto ogni volta che iniziamo a studiare un nuovo brano confrontandoci con il mondo di chi lo ha composto e mettendo alla prova le nostre capacità tecniche ed espressive ogni giorno di più.Spesso si tende a collegare questa paura all’angoscia per il giudizio di chi ci ascolta, che sia il nostro insegnante di musica – pare che sia stato proprio un amorevole insegnante di musica ad ispirare la figura del Sergente Hartman – o che sia il pubblico più intimo composto da parenti e amici, spesso troppo generosi di commenti sulle nostre qualità da trasformasi in critici efferati.
Forse invece le ragioni sono più profonde.
In anni e anni di elucubrazioni sono giunta alla conclusione che, anche quando siamo da soli, non suoniamo mai veramente solo per noi stessi: suoniamo per il nostro strumento, suoniamo per il compositore che ci ha regalato la partitura, suoniamo per un ideale di bellezza che ci siamo immaginati, suoniamo per superare i nostri limiti e migliorarci.
Suonare quindi non è solo riprodurre una sequenza precisa di note dando loro il giusto tempo e la giusta espressione – che già ce ne sarebbe –, ma è soprattutto scoprirsi, condividere, lasciarsi andare alla musica fino a regalare qualcosa di intimamente nostro (riproducendo intanto una sequenza precisa di note dando loro il giusto tempo e la giusta, obiouvsly!).
Per lungo tempo ho pensato che la mia paura di suonare in pubblico derivasse dall’essere ancora così lontana da quell’ideale di perfezione estetica che mi ero prefissata, il punto è che ad ogni miglioramento spostavo l’asticella delle mie ambizioni sempre un po’ più in là in modo da renderle ancora più irraggiungibili e da restarmene accucciata all’interno della mia paura, un rifugio scomodo e confortevole al tempo stesso.
Tempo fa ho avuto occasione di discorrere proprio della paura di suonare con un grande musicista e compositore che ho la fortuna di conoscere – non vi dico chi è altrimenti sembra che me la voglia tirare, il che è vero ma io me la tiro interiormente – il quale mi disse che anche lui aveva paura prima di un concerto, perché suonare in pubblico è come trovarsi su una barchetta a remi in mezzo al mare e che si ha ragionevolmente paura di tutto quello che può capitare mentre siamo su quella barchetta, ma è con l’esperienza che, poco alla volta, si impara a far fronte agli imprevisti e a governare la nostra barchetta anche in mezzo alla tempesta.
L’esperienza dunque ci aiuta a fronteggiare le avversità e anche in questo caso – la cosa non mi sorprende nemmeno un po’ – la musica è grande maestra di vita.
L’esperienza è qualcosa che possiamo e dobbiamo acquisire non solo esercitandoci quotidianamente nelle nostre case (per la giuoia dei vicini), ma anche e soprattutto confrontandoci con chi l’ha maturata sul campo, ovvero con i professionisti della musica ed è proprio per questo che hanno inventato le Master Classes.
Le Master Classes sono una cosa bellissima perché danno a noi apprendisti della musica la possibilità di sequestrare per qualche giorno un concertista per carpirne tutti gli insegnamenti possibili.
Già da qualche anno l’Associazione Amici della Musica di Livorno promuove il Livorno Music Festival, un evento che quest’anno si svolgerà dal 22 agosto al 7 settembre ovviamente a Livorno, offrendo a musicisti più o meno in erba la possibilità di prendere parte ad una delle 11 Master Classes in programma seguendo le lezioni tenute da musicisti di fama internazionale e di esibirsi al loro fianco durante i concerti conclusivi.
Questi sono i Maestri a cui toccherà l’arduo compito di scacciare tutte le paure: Massimo Quarta (violino), Jeffrey Swann (Pianoforte), Roland Dyens (Chitarra), Giovanni Ricucci (Clarinetto), Quartetto Klimt (Musica da Camera), Manuela Custer (Canto), Vittorio Ceccanti (Violoncello), Toby Hoffman (Viola), Alberto Bocini (Contrabbasso), Roberto Fabbriciani (Flauto), Christopher Austin (Composizione).
Ciliegina sulla torta un incontro direttamente sul palco tra i partecipanti e Stefano Bollani.
Non ci sono limiti di età e non sono richiesti titoli di studio particolari, se non ovviamente una conoscenza dello strumento tale da permettere di seguire le lezioni, e le domande saranno accolte in ordine di arrivo (ultima data possibile per iscriversi 20 luglio), quindi se pensate che sia arrivato il momento di abbandonare una volta per tutte la vostra comfort zone del terrore, correte a iscrivervi per vivere un’esperienza unica di condivisione e studio della musica.
Questo è il sito web del Livorno Music Festival: http://www.livornomusicfestival.com/
Facebook: https://www.facebook.com/livornomusicfestival
Twitter: https://twitter.com/LivornoFestival

LMF Masterclasses 2016

2 pensieri su “Chi ha paura di suonare in pubblico?

  1. “…suoniamo per il nostro strumento, suoniamo per il compositore che ci ha regalato la partitura, suoniamo per un ideale di bellezza che ci siamo immaginati, suoniamo per superare i nostri limiti e migliorarci…”

    Brava Fiorella… anni di elucubrazioni ben spesi! Infatti, quanto dici è bello e pure vero.
    Un giudizio sentito ancorché poco autorevole di uno che non ha mai osato sfiorare una tastiera per rispetto dello strumento, del compositore e forse anche di sé stesso, malgrado sia convinto con Nietzsche che “Senza musica (Classica N.d A.) la vita sarebbe un errore”.
    Mi hai colpito soprattutto quando scrivi che suoni per il compositore; cosa oggigiorno non scontata, poiché a me sembra che spesso il creatore della musica venga messo in ombra dalle star che la eseguono.
    (Mi piacerebbe vedere una volta nella vita un direttore d’orchestra oppure un famoso solista, che alla fine dell’esibizione, dopo aver indicato al pubblico apprezzamento gli eventuali orchestrali, indichi con enfasi il Cielo per deviare una parte degli applausi al compositore, se non vivente, ovviamente).
    Comunque, tralasciando il mio irrilevante parere, ti cito a memoria qui di seguito un pensiero di André Previn, sperando ti sia di qualche aiuto:
    “La differenza fondamentale tra la musica classica e il jazz è che per quest’ultimo, il modo in cui la musica viene eseguita è sempre più importante di ciò che viene suonato. Mentre nella Classica, la musica è sempre più grande della sua esecuzione” e se lo dice Previn …
    Con il solito apprezzamento,
    Saluti, Aristide

    • Quasi sempre dopo aver suonato mi chiedo se il compositore sarebbe stato contento di quello che ho fatto (a volte chiedo anche scusa se so di aver commesso qualche scempio), questo perché penso che sia proprio dal compositore, dalla sua epoca e dall’ambiente in cui viveva (o vive) che debba partire lo studio di un brano che, se estrapolato da tutto questo, perderebbe gran parte del suo “potere”.
      Il vero artista poi parte dalla radice per andare oltre… ma io non ho questo onore/onere.
      Mi piace, mentre suono, immaginare a volte Bach (o Brahms o Mozart, Beethoven…) in piedi dietro di me guardarmi con una benevolenza amica e strizzare gli occhi durante le stecche. 🙂
      (Spero che la Neuro non legga l’ultimo paragrafo).
      Grazie per il tuo apprezzamento.

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