“In ogni telefilm prima o poi arriva la puntata triste, questo è il post triste del mio blog.” (F.Sina)
Una delle domande più comuni che ti fanno le persone quando scoprono che suoni uno strumento è se e quanto ti manca quando sei in vacanza.
Si dice che ci accorgiamo di quanto amiamo qualcuno o qualcosa solo quando è lontano o perduto, ma io non avevo mai fatto vacanze così lunghe da struggermi di nostalgia per il mio pianoforte, sicché rispondevo sempre con una sana scrollata di spalle.
Ma la tragedia era dietro l’angolo!
Durante la prima estate di vita di mia figlia ci trasferimmo al mare per ben quattro settimane. Zavorrata di passeggino, lettino, seggiolone, seggiolino, canotto e altre masserizie, l’evenienza di portare anche la tastiera non mi aveva nemmeno sfiorata.
E così passarono le prime due settimane senza scossoni musicali: il pianoforte non mi mancava, non pensavo mai alla musica.
All’inizio della terza settimana iniziai a sentirmi strana: non avevo fame, non avevo voglia di parlare con nessuno, non avevo nemmeno voglia di fare il bagno in mare, in compenso però mi sentivo confusa, spenta come se tutto intorno a me e dentro di me fosse avvolto da una nebbia ogni giorno più fitta.
E poi finalmente, in maniera del tutto inaspettata, arrivò la “sconvolgente” rivelazione: eravamo di ritorno dalla spiaggia e stavamo passando per una strada stretta che porta verso la via principale, la strada era la stessa di tutti i giorni, ma quella sera qualcuno stava suonando il pianoforte.
Non ricordo cosa stesse suonando né mi pare suonasse particolarmente bene, ma provai un senso di vuoto dentro di me così intenso che mi mancò l’equilibrio e dovetti appoggiarmi al muro di recinzione del condominio del misterioso suonatore.
Piansi appoggiata a quel muretto per almeno dieci minuti.
Durante l’ultima settimana il concetto di vacanza aveva raggiunto in pieno il suo etimo: da vàcans participio presente di vacàre, ovvero essere vacuo.
E così mi sentivo: un involucro vuoto.
C’è un finale allegro per questa triste storia ovvero la sottoscritta che torna finalmente a casa, butta borse e borsoni nell’ingresso e si tuffa al pianoforte: Arte della fuga, primo contrappunto.
Sono bastate le prime quattro battute per far ritornare tutto a posto.
Io sono una persona che suona, senza poter suonare non sono completa, non sono io.
YouTube : Ritrova anche tu te stesso con il contrappunto I dell’Arte della fuga
Ci si riprova. Dicevo, questo post non è affatto triste, anzi, io lo definirei felice. Triste è sentirsi vuoti e non avere passioni nelle quali rifugiarsi. Triste è, nel momento in cui una passione si ha la fortuna di averla, dovervi rinunciare, e vivere una vita monca. Negare se stessi è triste. Tu continui a suonare, e questo ti fa sentire viva. Amare la musica in modo così totalizzante credo sia un dono. Non so cosa proviate voi musicisti quando suonate. Penso sia qualcosa di immenso che è impossibile esprimere a parole. Posso solo immaginare la sensazione di un soffio di infinito che ti riempie, l’idea di essere parte della musica, di quell’immateriale tuttavia potentissimo elemento che fa sì che ci si senta contemporaneamente qui e in un altrove non delineabile, non circoscrivibile . Quindi, post felice, altroché .
Penso che suonare per me sia strettamente legato alla mia libertà personale.
Quando suono mi sento libera e mi sento davvero me stessa.
Molto probabilmente questa cosa bellissima che a me accade suonando a ciascuno può succedere mentre coltiva una propria passione personale.