Giovedì 7 novembre, concerto all’auditorium Arturo Toscanini di Torino, il secondo in programma per noi del turno rosso serie arancio.
Io e il mio amico, che per rispetto alla sua privacy chiameremo simpaticamente Avantiveloce, arriviamo puntuali ed eleganti come nostro solito.
Per l’occasione scelgo un outfit di particolare pregio: vestito marrone griffato mercato di Piazza Benefica, calze marroni, scarpe tacco 8 comprate anni fa in occasione del matrimonio di un cugino, cappottino grigio Fornarina comprato 3 stagioni fa con il mio ultimo stipendio sicuro.
Il primo brano in programma è Le Ebridi, la grotta di Fingal ouverture op. 26 di Felix Mendelssohn-Bartholdy, uno di quei brani che sentiti dal vivo ti fanno capire quanto si perda nell’ascoltare un certo tipo di musica registrata, dopodiché arriva il momento del Concerto in la minore op. 129 per violoncello e orchestra di Robert Schumann.
La prima cosa che vedo comparire sul palco sono i calzini rosso fuoco del violoncellista che spiccano come un pugno in entrambi gli occhi in mezzo al semprenero dell’orchestra.
Subito il mio sguardo scende terrorizzato verso i calzini di Avantiveloce, seduto accanto a me, perché riemerge con prepotenza il trauma di un ex fidanzato che, elegantissimo in occasione del Die Meistersinger von Nürnberg al teatro Regio, accavallò la gamba scoprendo un ORRIDO calzino di spugna bianco corto che avrebbe sfigurato anche in un campo da tennis figuriamoci nel tempio della musica al cospetto di cotanta Gesamtkunstwerk wagneriana.
I calzini di Avantiveloce grazie a Dior sono normali, anzi piuttosto eleganti, scuri e lunghi il giusto.
La seconda cosa che vedo è il violoncello, che scopro poi essere nientepopodimenoche un Andrea Guarnieri del 1694.
Last but not least noto finalmente il violoncellista, tale Johannes Moser.
Ah però, carino!
Biondo, giovane e sportivo, un Siegfried senza il peso della saga dei Nibelunghi sulle spalle, si chiama Johannes, come Brahams, e per me sono almeno 1000 punti sulla scala del “ma quanto sei carino” già solo per il nome.
Ed è anche bravo: un suono intenso e potente, perfetto lo staccato, espressivo senza eccedere e con un vibrato come raramente ho avuto occasione di sentire.
Proprio mentre la mente vaga in questi pensieri di rara profondità mi accorgo che il virtuoso violoncellista guarda spesso dalla nostra parte.
Ora è difficile sbagliare, in quella postazione ci siamo solo: io, Avantiveloce, quattro sedie vuote e alle nostre spalle una coppia non troppo giovane (non che noi siamo proprio di primo pelo, ma loro lo sono di meno ancora…) e quindi qualcosa o qualcuno nella nostra direzione ha colpito il bel solista.
Ho forse attirato io la sua attenzione? O Avantiveloce? O cosa?
A cosa sta pensando mentre supera leggero le mostruose difficoltà tecniche del brano e guarda ammiccando dalla nostra parte?
Proviamo a fare qualche ipotesi:
- Ehi ma quella non è Bertha, la tizia che lavora nel baretto vicino a Potsdamer Platz? Ma no, impossibile, cosa ci farebbe qui? Fammidare un’altra occhiata…. no infatti le somiglia ma non è lei.
- Speriamo che questi calzini rossi non si notino troppo, ho sbagliato il conto dei calzini da portare in tournée ed erano gli unici puliti, invece guarda che belli quelli del tizio seduto là a sinistra. Dopo magari gli chiedo dove li ha comprati.
- A F G D C B B C D B D A B C F G C B B A C…
- Verdammt steifen Nacken!
- Oh oh mi è sembrato di vedere un gatto.
Potremmo fare ipotesi all’infinito ma è ovvio che non lo sapremo mai e ce ne dobbiamo fare una ragione.
Johannes finisce il brano, si prende i meritatissimi applausi, ci regala un’indimenticabile Sarabanda dalla Suite n. 1 BWV 1007 per violoncello di Johann Sebastian Bach – lui sì che pronuncia Bach con l’accento giusto – e poi ognuno torna alla propria vita: Johannes al Guarnieri, io e Avantiveloce alla Symphonie Fantastique op. 14 di Hector Berlioz, che si chiama Fantastique mica per niente, e poi pizza e birra.